giovedì 17 settembre 2009

13. Presente e Futuro

Il presente è sotto i nostri occhi. Per qualcuno, il "presente" dei paesi più evoluti è da considerare il migliore dei mondi possibili. Per me, invece, è largamente migliorabile.
Il futuro potrà essere roseo o nero: dipende in buona parte da noi.

mercoledì 16 settembre 2009

12. I Contemporanei (1991 - 2009)

Credo che il nostro presente sarà ricordato in futuro come l’epoca del web e della globalizzazione capitalistica: un’epoca unica nel suo genere, che lancia sfide inedite e richiede risposte inedite.

11. I Contemporanei (1945 - 1991)

I primi decenni dopo la fine della seconda guerra mondiali possono essere ricordati come il periodo in cui le superpotenze, Usa e Urss, sentendosi minacciate dalle armi atomiche, inventano un nuovo tipo di guerra, che è combattuta prevalentemente con armi economiche e diplomatiche. Viene chiamata «guerra fredda». Lo scopo ultimo della guerra fredda è estendere la propria egemonia sull’intero pianeta. Alla fine, avviene che il comunismo implode, lasciando al capitalismo campo libero.

10. I Contemporanei (1919 – 1945)

In questo quarto di secolo (1919-45), i giochi di forza si fanno più evidenti che mai e prendono forma nel tentativo di tre Potenze (Germania, Italia e Giappone) di assicurarsi il pianeta. Purtroppo per loro, il verdetto delle armi consacra due nuove Potenze egemoni, gli USA e l’URSS, che si dividono il pianeta in due sfere d’influenza. Il prezzo di questi «giochi» di potere sono 40 milioni di morti, mentre il risultato finale è che, anziché essere sottoposto a Germania, Italia e Giappone, adesso il mondo è soggetto a USA e URSS.

domenica 13 settembre 2009

09 I Contemporanei (1815 – 1919)

Il quadro politico internazionale che si delinea nell’Ottocento conferma, se ce ne fosse bisogno, che la condotta delle nazioni è guidata dal principio di forza, molto più che dal principio di giustizia. La spartizione del pianeta operata dai più potenti Stati europei, che prende forma nel fenomeno del colonialismo, fa da pendant con la politica imperialista del Giappone e a quella espansionista degli Usa. La stessa affermazione dello Stato-nazione prende origine più da equilibri di forza che dalla libera determinazione dei popoli.
Mentre gli eserciti nazionali si scontrano sui campi da battaglia allo scopo di decidere chi sta dalla parta della ragione e chi dalla parte del torto, sullo sfondo combattono la loro battaglia due opposte ideologie: il capitalismo e il socialismo. Secondo il primo, il valore sommo è costituito dagli interessi economici delle aziende industriali e commerciali, degli imprenditori e dei finanzieri, essendo questi coloro che creano posti di lavoro e portano ricchezza e prosperità alla nazione. Secondo il socialismo, invece, il valore sommo risiede nei bisogni dei singoli lavoratori. Lo scontro fra queste due ideologie non è meno aspro di quello armato e finisce col trionfo del capitalismo, il che significa avallare il principio secondo il quale i bisogni del singolo lavoratore devono lasciare il passo ai superiori interessi dell’azienda e questi ai supremi interessi dello Stato.

08. I Moderni (1492 - 1815)

L’Umanesimo, la Riforma, il Capitalismo, l’Industrializzazione e l’Alfabetizzazione di massa muovono in direzione del declino del potere assoluto e dell’affermazione dello spirito democratico e delle idee di nazione, di repubblica, di costituzione, di cittadino, di parlamento, di partito e di rappresentanza. Ora si tende a valutare ogni individuo per quello che realmente è, per quello che sa e per quello che sa fare, si rifiutano differenze sociali per nascita e si parla di pari opportunità, nella consapevolezza che il valore di un individuo dipenda anche dalla sua formazione culturale. Si comincia a parlare di meritocrazia, di competenza, di fraternità, di uguaglianza, di libertà. Acquista importanza l’istruzione e ci si preoccupa della formazione dell’individuo e dell’educazione del cittadino, che è finalizzata ad un impegno responsabile professionale e sociale.
Sono le condizioni ideali per l’attuazione di un sistema politico basato sulla democrazia diretta, sul cosmopolitismo e sull’individualismo, e invece, i vecchi schemi ebraico-cristiani, che rimangono forti, favoriscono la costituzione dello stato nazionale e della cosiddetta democrazia rappresentativa.

venerdì 11 settembre 2009

7. Il Basso Medioevo (1000 - 1492)

Dopo il fallito tentativo dei franchi di ricostituire il vecchio impero romano d’occidente, ci riprovano i duchi germanici. Anch’essi guardano al papa per ricevere la necessaria legittimazione, solo che adesso il papa non è più disposto a fare da comprimario: se è vero che il papa può conferire l’autorità all’imperatore, dev’essere anche vero che egli è la fonte di tutti i poteri. Ne origina una lotta per il primato universale sulla terra, da cui cominciano a prendere le distanze quanti non vedono alcun senso in questa logica di potere e badano invece al proprio interesse particolare. Sono i singoli individui di ogni ceto sociale, che cercano di sfruttare ogni occasione propizia per elevare il proprio stato. Sono i capiclan normanni o ungari, che si procurano beni con le loro azioni di razzia e di conquista. Sono i principi europei, che inseguono potere e gloria nelle imprese crociate. Sono i mercanti, che si mettono al loro seguito nella speranza di arricchirsi. È la povera gente, che si reca in Terra Santa nella vaga ricerca di fortuna o, quanto meno, per guadagnarsi il paradiso. Sono i figli cadetti di nobile famiglia, che mossi dal desiderio di affermarsi in qualche modo, costituiscono bande armate e vanno alla conquista di nuovi spazi da sfruttare, oppure si mettono al servizio del papa o dell’imperatore per ottenere titoli onorifici e benefici. Insomma, è un rifiorire di una nuova temperie culturale, che è orientata al perseguimento di interessi ristretti e che si contrappone nettamente alla logica del potere universale del papa e dell’imperatore.
Alla fine, da queste iniziative personali alcune famiglie si arricchiscono e assumono il controllo di un territorio. Prendono anche origine molti illustri casati e molte nobili stirpi, che ritroveremo nei secoli seguenti. Con le loro elevate esigenze in termini di armamenti e organizzazione e il loro amore per lo sfarzo e la raffinatezza dei costumi, questi signori richiamano tutta una serie di personaggi, soldati, artigiani, artisti, maestranze, burocrati, mercanti, architetti, letterati, preti, operai, e via dicendo, creando così società urbane articolate e complesse, che aspirano alla propria identità e alla propria indipendenza, nei confronti sia del papa che dell’imperatore. Nascono così i primi comuni, le prime signorie e le prime monarchie nazionali.
A poco a poco l’idea di potere universale cede il passo alle nuove realtà nazionali, che aprono una stagione di competizione reciproca per l’egemonia. Ogni nazione vuole primeggiare sulle altre, ma si rende subito conto che, per poter riuscire in questa impresa, deve disporre di risorse adeguate. È in questa logica che si diffondono le politiche di mercato, le attività bancarie e finanziarie e il capitalismo, mentre le guerre diventano sempre più fondate su questioni di tipo economico: l’obiettivo è quello di procurarsi denaro sufficiente per condurre una politica di potenza. Il principio di forza rimane dominante nei rapporti fra gli Stati.

giovedì 10 settembre 2009

6. L’Alto Medioevo (476 – 1000)

Le tribù che vivono nell’area dove sorgerà Roma, intorno all’VIII secolo a.C., non possiedono che la terra necessaria per la mera sopravvivenza della collettività e non conoscono la proprietà privata, né avvertono l’esigenza di capi o di leggi scritte, ma, dopo che Romolo ricompensa i trenta capi clan che lo hanno appoggiato nella sua azione di conquista, distribuendo loro le terre sottratte ai nemici, la situazione comincia a cambiare. Lo stesso avviene quando i romani sottomettono i Sabini, gli Equi, i Latini, i Volsci: le terre dei vinti vengono distribuite come bottino di guerra ai comandanti dell’esercito romano, che, di fatto, divengono i primi grandi proprietari privati di terre. È così che la società romana assume un aspetto duale, nel senso che una ristretta classe aristocratica, costituita dai grandi proprietari terrieri, si differenzia nettamente dal resto della popolazione, i patrizi si distinguono dai plebei, i ricchi dai poveri.
Mentre i patrizi difendono in ogni modo lo status acquisito, i plebei non si rassegnano ad accettare la loro condizione e chiedono una più equa distribuzione delle terre conquistate, insieme al diritto di partecipare alla vita politica, ma, poiché i patrizi non intendono cedere, lo stato di tensione sociale si protrae nel tempo e finisce col creare problemi per tutti. La discordia sociale risulta particolarmente insostenibile ogni volta che si profila la minaccia di un pericoloso nemico esterno, fatto che può indurre le parti in conflitto ad unirsi e collaborare. È in questi momenti che i plebei riescono ad ottenere qualche concessione, ma, cessato il pericolo, tutto torna come prima. I plebei allora cominciano a chiedere leggi scritte a salvaguardia dei loro diritti acquisiti. Anche i patrizi vogliono leggi scritte, questa volta a tutela dei loro privilegi.
Tutti, insomma, mostrano interesse a fissare per iscritto un codice di leggi. E le leggi vengono. Tuttavia, dal momento che i plebei non hanno né le capacità, né i mezzi, né il potere di legiferare, il compito viene assolto da esponenti dell’aristocrazia, i quali, com’è ovvio, inclinano verso i propri interessi, tant’è vero che una delle prime leggi ad essere promulgata è quella che tutela il diritto di proprietà delle terre. In altri termini, i capi militari, che hanno contribuito alla vittoria, hanno diritto a possedere le terre loro assegnate dal re.
Quando Odoacre conquista l’Italia, il diritto di proprietà, che prima era dei romani, passa a quel coacervo di capiclan barbari, che hanno contribuito alla vittoria, e, quando Teodorico sconfigge Odoacre, il diritto cambia e stabilisce che i nuovi proprietari dell’Italia sono i Goti, sia pure, in entrambi i casi, con l’avallo dell’imperatore d’Oriente, che, almeno in teoria, rimane il vero legittimo proprietario. Così, quando i bizantini cacciano i Goti, secondo il loro punto di vista, essi stanno semplicemente allontanando gli usurpatori dalla loro proprietà.
Diverso è il caso di Alboino, che si impadronisce dell’Italia dopo avere sconfitto i bizantini. A differenza di Odoacre e Teodorico, infatti, egli non ha alcuna autorizzazione imperiale e il suo diritto di proprietà poggia solo sulla forza delle armi e, almeno inizialmente, egli può governare solo attraverso una dittatura militare. Poi arriveranno le leggi, che sanciscono il diritto di proprietà privata dei capiclan Longobardi sull’Italia e che resteranno in vigore fino all’ascesa dei franchi.
Adesso il più forte è Pipino il Breve. Ma Pipino non se la sente di instaurare una dittatura militare e alla forza preferisce il diritto. Ed ecco allora che decide di farsi legittimare da Dio, attraverso il suo rappresentante terreno, il papa, al quale dà in cambio territori sottratti a Longobardi e bizantini. Nasce così lo Stato pontificio, che i papi difenderanno in avvenire come un loro sacrosanto diritto.
Ebbene, tutte le proprietà da noi prese in considerazione in questo capitolo sono state prima conquistate con la forza, poi legittimate dal diritto. Si svela così una delle più importanti funzioni del diritto: legittimare e rendere stabile uno status che è stato decretato dalla forza.
Gli stessi romani, che in realtà hanno edificato l’impero a suon di campagne militari, vedono la caduta dell’impero stesso come un defrauda mento di un proprio diritto o come la fine di qualcosa che merita di esistere per necessità. Carlomagno cerca di farlo rivivere, e poi ci provano ancora i sovrani germanici, ma i fatti dimostrano che l’impero è stato solo un accidente della storia e non un punto d’arrivo voluto da Dio, come si tendeva a credere nel medioevo.

lunedì 7 settembre 2009

5. Altri popoli (500 a.C. – 500 d.C.)

Nel millennio che sta a cavallo della nostra era, i rapporti di vario tipo che si stabiliscono fra le diverse popolazioni fanno sì che si creino dei centri di potere, che sono particolarmente estesi in Eurasia, dove sorgono grandi imperi (Persia, Grecia, Macedonia, Roma, India, Cina). Questi centri di potere hanno in comune il fatto che tentano azioni di conquista e organizzano sistemi difensivi con alterne vicende. Alla fine, c’è sempre qualcuno che vince e qualcun altro che perde, qualcuno che comanda e qualcun altro che è sottomesso, e tutto ciò finisce per essere visto come del tutto naturale.

4. Roma (500 a.C. – 500 d.C.)

La storia di Roma viene raccontata ponendo in particolare risalto tre elementi:
1. Le origini della potenza romana (tesi: la potenza romana origina dalla forza militare).
2. Le origini e la diffusione del cristianesimo (tesi: il cristianesimo primitivo non conosce né una figura di papa, né dogmi).
3. La storia delle popolazioni barbariche (di cui siamo discendenti).

sabato 5 settembre 2009

3. Il resto del mondo (5,5 – 2,5 mila anni fa)

I governi imposti dai clan dominanti in virtù della loro superiore organizzazione e sotto la minaccia della forza si rivelano instabili, perché devono temere la concorrenza di altri clan guerrieri altrettanto potenti. I clan contadini invece, che costituiscono la maggioranza della popolazione, sono tagliati fuori dai giochi di potere, perché sono meno organizzati e meno armati. Così la storia diventa un susseguirsi di scontri fra clan guerrieri che lottano per il dominio.
Alcuni capiclan riescono a riunire intorno a sé altri clan guerrieri allo scopo di condurli in azioni di conquista. In caso di successo, il capo supremo distribuisce i territori conquistati ai capiclan che lo hanno appoggiato, che diventano suoi vassalli. In questo modo si possono fondare dinastie e costituire sistemi politici duraturi.
È questa la modalità di formazione dell’impero persiano e delle altre potenze politico-militari (minoica, micenea, ellenica, romana, ecc.).

2. Fertile Mezzaluna (5,5 - 2,5 kyr fa)

Nel periodo compreso fra 5,5 e 2,5 mila anni fa, nella Mezzaluna Fertile, i numerosi clan che vi si affollano cercano di darsi nuove e più complesse forme di organizzazione sociale nel tentativo di assicurarsi maggiori probabilità di sopravvivenza e migliori condizioni di vita. In questa corsa, i più favoriti risultano il clan specializzati nell’arte predatoria, i quali possono contare sulla loro organizzazione di tipo militare.
Alcuni clan di questi riescono a fondare città, regni, imperi e civiltà, costringendo numerose etnie a convivere all’interno di un’unica entità politica, che chiamiamo Stato, come se fossero un unico popolo. Le famiglie dominanti si spartiscono il bottino di guerra e le terre conquistate, acquisendo il diritto di proprietà sulle stesse, mentre i vinti vengono resi schiavi e costretti a lavorare per la pura sussistenza.
Si creano così le condizioni per un surplus di dimensioni mai viste in precedenza, che serve per il mantenimento di un esercito, il quale, a sua volta, serve a garantire la conservazione dei territori conquistati e della proprietà privata. In particolare, nelle città si realizzano condizioni favorevoli alla divisione dei ruoli e si affermano classi sociali che si occupano esclusivamente dell’amministrazione del surplus e possono soddisfare i propri bisogni primari grazie al lavoro di altri.
A differenza della società tribale, la società urbana diventa duale, è cioè divisa in un piccola parte di ricchi proprietari, che tende a conservare e difendere i propri beni e il proprio status, e in una grande massa di nullatenenti, che sta al servizio dei primi. Il re, insieme a poche famiglie di funzionari e guerrieri, non solo controlla la maggior parte delle risorse, ma esercita anche ogni potere (esecutivo, legislativo e giudiziario), compreso quello di vita o di morte sui singoli sudditi. A poco a poco, quelli che prima erano equilibri di forza si vanno tramutando in principî di diritto, e così la proprietà privata, nata dal sangue e dalla rapina, viene tutelata dalla legge e diventa diritto.
Gli sconfitti sopravvissuti, quelli cioè che, a seguito di una guerra, hanno perso i loro cari, le loro terre e le loro case, non possono, per ovvie ragioni, accettare lo Stato come un’entità politica giusta e desiderabile e non hanno alcun interesse a sostenerlo, né si riconoscono in esso. Nello Stato invece si riconoscono quanti ne traggono un qualche vantaggio, e questi sono, sostanzialmente, i proprietari terrieri, quelli cioè che hanno ricevuto una parte delle terre conquistate, che verrebbero perdute se lo Stato si dissolvesse, ma anche da tutti coloro che, a vario titolo, ricevono il soldo dal sovrano: soldati, funzionari, mercanti, artigiani, ecc..
Ora, gli Stati non sono società naturali e possono sussistere solo ad una o ad entrambe le seguenti due condizioni: che siano riconosciuti da tutti come una forma di convivenza desiderabile, che siano sostenuti con la forza. Perché si verifichi la prima condizione, occorrerebbe che lo Stato fosse da tutti considerato giusto, ma così non è stato quasi mai nel corso dei secoli e, perciò, è rimasta sul campo solo l’alternativa della forza. Dal momento che da molti il potere dei clan dominanti è stato percepito come ingiusto, ne consegue che esso ha potuto reggersi in piedi prevalentemente con la forza.

giovedì 3 settembre 2009

1. Riflessioni sulla storia e sul metodo storiografico

In tutti i libri di storia si afferma che il racconto storico deve basarsi sul documento e sui dati archeologici, e che, in assenza di questi, siamo al di fuori della storia, ovvero nel mondo della fantasia. Cercherò di dimostrare che non è così, che queste basi sono del tutto insufficienti per scrivere un racconto «storico».
Non mi è ancora capitato di leggere un libro di storia che indichi tra le chiavi di lettura, i bisogni dell’uomo, le dinamiche della psicologia sociale, la limitatezza delle risorse, l’andamento demografico e il principio di forza, che forse ci aiuterebbero a capire la nostra storia e amarla.
Il mio approccio alla storia si serve di nuove chiavi di lettura in aggiunta a quelle adottate dagli storici professionisti. In particolare, io parto dall’assunto che l’intero corso delle vicende umane sia avvenuto sotto il controllo di due supreme leggi: la legge del più forte e la legge di Malthus.