Le tribù che vivono nell’area dove sorgerà Roma, intorno all’VIII secolo a.C., non possiedono che la terra necessaria per la mera sopravvivenza della collettività e non conoscono la proprietà privata, né avvertono l’esigenza di capi o di leggi scritte, ma, dopo che Romolo ricompensa i trenta capi clan che lo hanno appoggiato nella sua azione di conquista, distribuendo loro le terre sottratte ai nemici, la situazione comincia a cambiare. Lo stesso avviene quando i romani sottomettono i Sabini, gli Equi, i Latini, i Volsci: le terre dei vinti vengono distribuite come bottino di guerra ai comandanti dell’esercito romano, che, di fatto, divengono i primi grandi proprietari privati di terre. È così che la società romana assume un aspetto duale, nel senso che una ristretta classe aristocratica, costituita dai grandi proprietari terrieri, si differenzia nettamente dal resto della popolazione, i patrizi si distinguono dai plebei, i ricchi dai poveri.
Mentre i patrizi difendono in ogni modo lo status acquisito, i plebei non si rassegnano ad accettare la loro condizione e chiedono una più equa distribuzione delle terre conquistate, insieme al diritto di partecipare alla vita politica, ma, poiché i patrizi non intendono cedere, lo stato di tensione sociale si protrae nel tempo e finisce col creare problemi per tutti. La discordia sociale risulta particolarmente insostenibile ogni volta che si profila la minaccia di un pericoloso nemico esterno, fatto che può indurre le parti in conflitto ad unirsi e collaborare. È in questi momenti che i plebei riescono ad ottenere qualche concessione, ma, cessato il pericolo, tutto torna come prima. I plebei allora cominciano a chiedere leggi scritte a salvaguardia dei loro diritti acquisiti. Anche i patrizi vogliono leggi scritte, questa volta a tutela dei loro privilegi.
Tutti, insomma, mostrano interesse a fissare per iscritto un codice di leggi. E le leggi vengono. Tuttavia, dal momento che i plebei non hanno né le capacità, né i mezzi, né il potere di legiferare, il compito viene assolto da esponenti dell’aristocrazia, i quali, com’è ovvio, inclinano verso i propri interessi, tant’è vero che una delle prime leggi ad essere promulgata è quella che tutela il diritto di proprietà delle terre. In altri termini, i capi militari, che hanno contribuito alla vittoria, hanno diritto a possedere le terre loro assegnate dal re.
Quando Odoacre conquista l’Italia, il diritto di proprietà, che prima era dei romani, passa a quel coacervo di capiclan barbari, che hanno contribuito alla vittoria, e, quando Teodorico sconfigge Odoacre, il diritto cambia e stabilisce che i nuovi proprietari dell’Italia sono i Goti, sia pure, in entrambi i casi, con l’avallo dell’imperatore d’Oriente, che, almeno in teoria, rimane il vero legittimo proprietario. Così, quando i bizantini cacciano i Goti, secondo il loro punto di vista, essi stanno semplicemente allontanando gli usurpatori dalla loro proprietà.
Diverso è il caso di Alboino, che si impadronisce dell’Italia dopo avere sconfitto i bizantini. A differenza di Odoacre e Teodorico, infatti, egli non ha alcuna autorizzazione imperiale e il suo diritto di proprietà poggia solo sulla forza delle armi e, almeno inizialmente, egli può governare solo attraverso una dittatura militare. Poi arriveranno le leggi, che sanciscono il diritto di proprietà privata dei capiclan Longobardi sull’Italia e che resteranno in vigore fino all’ascesa dei franchi.
Adesso il più forte è Pipino il Breve. Ma Pipino non se la sente di instaurare una dittatura militare e alla forza preferisce il diritto. Ed ecco allora che decide di farsi legittimare da Dio, attraverso il suo rappresentante terreno, il papa, al quale dà in cambio territori sottratti a Longobardi e bizantini. Nasce così lo Stato pontificio, che i papi difenderanno in avvenire come un loro sacrosanto diritto.
Ebbene, tutte le proprietà da noi prese in considerazione in questo capitolo sono state prima conquistate con la forza, poi legittimate dal diritto. Si svela così una delle più importanti funzioni del diritto: legittimare e rendere stabile uno status che è stato decretato dalla forza.
Gli stessi romani, che in realtà hanno edificato l’impero a suon di campagne militari, vedono la caduta dell’impero stesso come un defrauda mento di un proprio diritto o come la fine di qualcosa che merita di esistere per necessità. Carlomagno cerca di farlo rivivere, e poi ci provano ancora i sovrani germanici, ma i fatti dimostrano che l’impero è stato solo un accidente della storia e non un punto d’arrivo voluto da Dio, come si tendeva a credere nel medioevo.